Dalla valigia di cartone al trolley, l’emigrazione italiana è cambiata: ora deve cambiare l’Aire

Chiara Del Priore

Chiara Del Priore

Scritto il 23 Mag 2014 in Approfondimenti

C’era una volta in cui gli italiani partivano per terre lontane, alla ricerca di qualsiasi tipo di lavoro per «campare». Oggi gran parte dei nostri connazionali lascia l’Italia con una o più lauree in tasca per fare formazione all’estero o trovare un’occupazione all’altezza dei propri titoli di studio.
Un ritratto a quanto pare confermato dai numeri. Qualche settimana fa l’Aire, l'Anagrafe italiani residenti all’estero, ha diffuso i dati relativi ai trasferimenti dei nostri connazionali oltreconfine, individuando per il 2013 circa 94mila espatri, con un +19% rispetto all’anno precedente. Protagonisti soprattutto giovani e adulti fino ai 40 anni. Solo per la fascia d’età 20-40 la percentuale sfiora infatti il 30% in più in rapporto al 2012. Sono 45mila i connazionali di questa fascia che si sono spostati all’estero lo scorso anno, circa il 48% del totale, equamente suddivisi tra quelli di età compresa tra i 30 e i 40 anni e quelli tra i 20 e i 30.
Questa «nuova» emigrazione sembra però paradossalmente sfuggire proprio all’Aire, che da più di un ventennio rappresenta l’anagrafe ufficiale dei connazionali all’estero. Istituita con la legge 470 del 27 ottobre 1988, l’Anagrafe fa capo al ministero dell’Interno; censisce e raccoglie i dati relativi ai cittadini italiani che spostano la propria residenza fuori dai confini nazionali. Sono obbligati a iscriversi all’Aire i cittadini italiani che modificano la propria residenza per un periodo superiore ai 12 mesi; i cittadini italiani nati all’estero e da sempre residenti fuori dall’Italia e infine tutti coloro che acquisiscono la cittadinanza italiana all’estero. È lo stesso cittadino a richiedere gratuitamente l’iscrizione all’ufficio consolare di competenza entro 90 giorni dallo spostamento della residenza e a comunicare eventuali successive modifiche dei dati rilasciati al momento dell’iscrizione (ad esempio trasferimento di residenza, modifica dello stato civile, rientro definitivo in Italia). Essere iscritto all’Aire comporta la possibilità di usufruire di una serie di servizi: ottenere il rilascio o rinnovo di documenti di identità e certificazioni, ad esempio. E, non ultimo, consente di godere di una serie di diritti, come quello di voto, esercitato per corrispondenza.
Il problema però è che l’Aire esclude dall’obbligo di iscrizione una serie di soggetti.
Nello specifico: i lavoratori stagionali; i dipendenti di ruolo dello Stato in servizio all’estero e i militari italiani in servizio presso uffici e strutture Nato dislocati all’estero e soprattutto le persone che si recano all’estero per un periodo di tempo inferiore a un anno. Ad esempio uno studente italiano che va a fare un Erasmus non è tenuto a iscriversi, in quanto le esperienze all’estero durano non più di 12 mesi, così come un giovane che va a fare una esperienza all'estero ma che nella maggior parte dei casi non sa per quanto tempo resterà fuori. Sono numerosi poi i giovani che partono per esperienze di stage, ad esempio presso istituzioni UE, della durata media di cinque-sei mesi.
Ovviamente non è facile stabilire quanti connazionali prolungano la permanenza e si iscrivono all'Aire. Fatto sta che oggi esso è un ente non rappresentativo della totalità degli italiani presenti oltreconfine. La prova è abbastanza lampante: secondo i dati 2012 di circa 4milioni e 200mila iscritti totali all’Aire, più di un milione e 600mila ha più di 50 anni e oltre il 37% del totale è iscritto da più di 15 anni e quindi si è spostato ormai da tempo. Maria Chiara Prodi, bolognese a Parigi, tra le fondatrici di ExBo, rete virtuale dei bolognesi nel mondo, analizza da tempo le dinamiche della «nuova» emigrazione: «I disagi per un cittadino in mobilità non iscritto all'Aire non sono pochi. Oltre alla precarietà e all'incertezza della permanenza, mi soffermerei anche sul tema sanitario. Una delle ragioni principali per cui i nuovi emigranti italiani non si iscrivono all'Aire è per non perdere il medico di base in Italia. Non sapendo quanto durerà un contratto, oppure lavorando stabilmente su due paesi, preferiscono restare in una situazione irregolare dal punto di vista burocratico, ma più funzionale nella vita di tutti i giorni». Aprire un dibattito sull’attuale ruolo dell’Aire attualmente sembra quasi doveroso.  Un’esigenza condivisa anche da alcuni membri delle istituzioni: «Dinamiche e meccanismi dell’emigrazione sono cambiati: chi va all’estero per lavoro o studio parte col trolley, non con la valigia di cartone. In un contesto simile le norme che regolano l’iscrizione all’Aire sembrano poco al passo con i tempi e credo che vadano aggiornate. Se decidiamo che gli italians sono una risorsa non solo a livello elettorale, dobbiamo rendere utile questo strumento non solo a chi risiede all’estero per un anno. Non dobbiamo concepire l’Aire solo come un albo generatore di diritti», spiega Pierpaolo Vargiu, presidente della commissione Affari Sociali alla Camera.
Come fare allora? Secondo il deputato di Scelta Civica «una soluzione potrebbe essere la creazione di un elenco speciale per chi si trova temporaneamente in un altro Paese, così da equiparare tali soggetti ai residenti all’estero». Una proposta avanzata lo scorso marzo dallo stesso Vargiu e sfociata in un emendamento che chiedeva il diritto di voto per corrispondenza ai cittadini in mobilità. L’emendamento bocciato alla Camera è solo l’apice di un dibattito sul voto ai cittadini in mobilità non inclusi nelle liste Aire aperto da tempo. Per le imminenti elezioni europee è stato intanto permesso ai cittadini temporaneamente all'estero per motivi di studio o di lavoro per un periodo di tempo inferiore ai 12 mesi di votare presso le sedi elettorali istituite dall'ambasciata o dal consolato di riferimento dopo la presentazione di un'apposita domanda al consolato, che però andava inoltrata entro il 6 marzo scorso.
Si tratta di una soluzione solo provvisoria, che non risolve in via definitiva un problema ormai aperto.
All’inizio del 2013 erano stati gli studenti Erasmus a riportare l’attenzione sul tema attraverso una protesta partita dal web e approdata a Palazzo Chigi, ma che si è poi conclusa con un nulla di fatto. Attualmente un decreto (decreto legge 223 del 18 dicembre 2012) consente l’esercizio del voto per corrispondenza anche a un’altra serie di soggetti, tra cui professori e ricercatori universitari all’estero da un minimo di sei mesi e non superiore a 12 o appartenenti alle forze armate o alla pubblica amministrazione, temporaneamente all’estero per motivi di servizio, per una durata superiore a tre mesi e inferiore a un anno. Lasciando però fuori tanti altri.
Al momento, spiega Vargiu, «il governo ha preso tempo per studiare una misura migliore» rispetto alla proposta di due mesi fa. Sarebbe anche opportuno che iniziasse a prendere seriamente in esame anche una revisione della legge che renda l’Aire uno strumento in grado di essere uno specchio della realtà effettiva, tutelando maggiormente i diritti di tutti i nuovi «emigranti».

Chiara Del Priore

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